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USI SURF Sindacato nazionale autogestito Scuola Università
Ricerca e Formazione
archivio storico
www.usistoriaememoria.blogspot.com,
RIPRENDIAMO LA
LOTTA NELLE SCUOLE – OPPONIAMOCI ALLE PROPOSTE DEL GOVERNO
Il
Congresso nazionale dell’UNIONE SINDACALE ITALIANA, storica confederazione nata
nel 1912, svoltosi a Roma dal 4 al 6 luglio 2014, valutando la difficile
situazione in cui versano l’Istruzione nel suo complesso, la Ricerca e la
Formazione e l’attacco che in continuazione subiscono da chi vuole trasformare
tutto in un grande mercato, dove anche sui servizi pubblici si possano fare
profitti e che in questi giorni vede nuovamente colpita la scuola pubblica
DECIDE di riunificare le sue strutture esistenti e di dar vita al sindacato
nazionale autogestito della Scuola, dell’Università, della Ricerca e della
Formazione: USI SURF. Un sindacato che per sua scelta sarà aperto oltre che ai
lavoratori, ai genitori e agli studenti maggiorenni per dare una maggiore forza
alle mobilitazioni in difesa dell’Istruzione pubblica.
Le prime scelte del sindacato sono state
quelle di aderire alla tre giorni di mobilitazione dal 13 al 15 luglio. Il
primo giorno in forma seminariale (ed è allegato a questo documento la
relazione presentata da una nostra RSU); il
14 con una Assemblea Nazionale aperta (indetta dall’UNICOBAS) sotto forma di un
sit-in al MIUR di Viale Trastevere a partire dalle 15,30 (al quale è stata data
l’adesione anche del Comitato 5 aprile – snodo romano della Rete nazionale per
la salute e sicurezza sul lavoro e nel territorio di cui l’ Usi è tra i fondatori – che riproporrà anche la
sua scheda sulla situazione delle scuole romane); il 15 con un presidio a
Montecitorio a partire dalle ore 9 (indetto dall’assemblea delle scuole romane).
L’USI SURF che come USI SCUOLA ha
coperto in questi ultimi anni anche le lotte dei Coordinamenti precari
(l’ultima volta l’11 aprile) è d’accordo nella proposta di costruire una
Manifestazione Nazionale in difesa della scuola pubblica per la fine di Luglio,
di lanciare uno sciopero nazionale per il 26 settembre, di lavorare per un
patto di tutto il sindacalismo di base per un’unica lista nazionale per le
prossime elezioni delle RSU, per dar vita a Coordinamenti cittadini al di là
delle sigle di RSU e lavoratori, di disporre delle strutture della
Confederazione e degli studi legali che vi collaborano per le prossime
iniziative, di continuare a lavorare per la costruzione di un grande movimento
di cittadini, studenti e lavoratori in difesa dell’Istruzione pubblica, della
Ricerca e Formazione in un contesto europeo e internazionale.
L’USI SURF lancia anche una campagna di
tesseramento aperta a tutti/e per sviluppare l’autorganizzazione in un settore
strategico per la vita di una nazione.
La
scuola in un contesto europeo.
Relazione
a cura di Nair Magnaghi – ATA - RSU USI Per seminario sulla scuola del 13
luglio 2014 a Roma
Per prima cosa, vanno sfatati alcuni luoghi
comuni che sono purtroppo alla base del giudizio dei cittadini sul lavoro degli
insegnanti e quindi suffragano le scelte di riforma più disgraziate.
Partiamo dall’orario di insegnamento dei
docenti, che si dice sia al di sotto
degli standard europei e che quindi giustificherebbe le basse retribuzioni.
In realtà i docenti italiani hanno un
carico di ore di lezione settimanale superiore alla media europea sia nella
primaria, con 22 ore contro19,6, che nella secondaria superiore, con 18 ore
contro 16,3, e un orario identico nella secondaria inferiore, con 18 ore contro
18,1.
Il secondo pregiudizio riguarda l’eccessivo
numero dei docenti. In questo caso teniamo presente la particolarità del
sistema scolastico italiano, dove esiste da quarant’anni, unici in Europa e
forse nel mondo, la pratica dell’integrazione, in tutti gli ordini e gradi di
scuola, degli alunni con disabilità, con la figura specifica degli “insegnanti
di sostegno”, va considerata l’altra
peculiarità del nostro sistema, ossia
l’alto numero di ore di lezione per gli studenti.
Quindi applicando alle statistiche europee,
tanto sbandierate il correttore della presenza degli insegnanti di sostegno che
rappresentano il 9% dei docenti nella primaria, il 12% nella secondaria di
primo grado ed il 4,8% in quella di secondo grado, avremmo un numero
complessivo di insegnanti pari alle medie europee.
Inoltre il tempo pieno nella scuola
primaria e il tempo prolungato nella scuola media, che rappresentano un’ulteriore
particolarità del nostro sistema scolastico, rispetto a quelli europei, fanno
si che per quella fascia di età, i nostri tempi scolastici siano in assoluto i
più estesi, con la necessità di maggior personale e quindi incidono anche nel
rapporto numerico studenti/docenti.
Altra “leggenda metropolitana” che ci
riguarda, è smentita dal dato che il numero medio di studenti per classe in
Italia (21,3) ci vede leggermente al di sopra della media europea del21,1. A
parità di prestazioni lavorative ci si dovrebbe aspettare una retribuzione più
o meno simile a quella dei colleghi europei, ma è qui che in Italia ci si
distingue, rispetto ad altri Paesi della U.E., in termini assoluti e relativi.
La retribuzione dei docenti italiani si
colloca sempre sotto la media dei paesi euro, con uno spread che parte da 4.000
euro all’inizio carriera fino a 10.000 al suo termine.
Se misuriamo le retribuzioni dei docenti in
base ad un parametro maggiormente sofisticato, ossia il PIL medio di ogni paese
(il rapporto che descrive il tenore di vita e lo status sociale), si scopre che
le retribuzioni iniziali ci assicurano un tenore di vita al di sotto di quello
medio italiano, con un incremento dopo 35 anni di attività, che non supera una
volta e mezza quello iniziale e con un trend di crescita ben al di sotto della
media europea. I dati europei ci offrono inoltre spunti di riflessione su di un
aspetto, che in Italia nuovamente assume delle particolarità. Le procedure di
selezione di nuovi insegnanti sono ferme da anni, ciò contribuisce ad innalzare
l’età media del nostro corpo docente e a creare una vastissima area di
precariato, insieme ai provvedimenti sul pensionamento che ne rallenta i ritmi.
da ansa.it – BRUXELLES – L’Italia e’ tra i paesi Ue ‘maglia
nera‘ che, sotto la pressione della crisi, tra il 2010 e il 2012 hanno
effettuato i tagli piu’ pesanti al bilancio della scuola.
E’ quanto emerge da uno studio realizzato a cura della Commissione Ue. A
ridurre gli investimenti nell’istruzione sono stati 20 tra paesi e regioni Ue,
ma a superare quota 5% sono stati solo Italia (-3,8% nel 2011 e -6,8% nel
2012), Grecia (record di -17% nel solo 2011), Portogallo, Cipro, Ungheria,
Lettonia e Lituania. Tagli inferiori ma comunque significativi, dall’1% al 5%,
in Irlanda, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Estonia, Bulgaria, Repubblica
Ceca e Belgio francofono.
Ad aumentare la spesa per la scuola, invece, sono stati solo
Lussemburgo, Malta, Austria, Svezia e Finlandia. Dallo studio Ue emerge anche
che gli stipendi degli insegnanti sono stati ridotti o congelati in 11 paesi tra
cui l’Italia, che ha registrato un calo dei costi per le risorse umane del 5%
nel 2011 e del 6% nel 2012.
I tagli hanno anche causato riduzioni nel numero dei docenti in 10
stati, Italia inclusa, dove nel 2010 e’ calato del 6%, anche per effetto della
legge 133/2008.
Drastico taglio alla formazione degli insegnanti, che in Italia è stata ridotta del 50% tra
2011-2012 anche in ragione della legislazione introdotta nel 2010. Nell’ultimo
biennio, inoltre, ben due terzi dei paesi europei hanno chiuso o fuso tra loro
istituti scolastici, e in Portogallo, Polonia, Slovacchia, Danimarca e Islanda
il contesto economico è stato indicato come uno dei ”principali fattori”,
mentre in Italia come ”la principale ragione”.
La scuola italiana ha pagato quindi un prezzo altissimo alle
politiche di bilancio imposte dall’Unione Europea: decine di migliaia di posti
di lavoro tagliati nel 2012, sono stati 124.292 rispetto al 2007, con il
massacro dei precari, blocco dei contratti e pensioni, riduzione del tempo
scuola, degrado di strutture e servizi...esternalizzazione di molti servizi
(pulizie, mense, attività integrative per alunni-e disagiati o con disabilità).
Più forte che mai resta la pressione
a destrutturare i contratti nazionali nella scuola, diversificando
le carriere dei docenti in base al «merito» e alla «produttività»
e non sull’anzianità di servizio. Per la Commissione Ue bisogna rafforzare
la valutazione nel sistema educativo: più test Invalsi per tutti, come
vuole la pedagogia neo-liberale. Bruxelles insiste, inoltre sul «modello
tedesco» nella scuola, l’apprendimento basato sulla formazione professionale
e l’apprendistato. Austeri fino alla fine, neo-liberisti senza speranza.
A Bruxelles c’è chi ha un’idea di società e in Italia chi la fa
rispettare. Costi quello che costi…
LA “NUOVA EUROPA”…
La “nuova” Europa, si propone di riformare
il sistema scolastico ed educativo nei paesi dell’unione. I capisaldi di questo
percorso sono stati il “processo di Bologna” e il “Trattato di Lisbona”, che
definisce il percorso di integrazione delle istituzioni europee, nato nel 2007
ed entrato in vigore nel 2009 . Per la parte riguardante la scuola, si tratta
di costruire uno Spazio europeo della ricerca (trattato di Lisbona) o spazio
europeo dell’istruzione superiore (Bologna), ma si può definire il… Mercato
europeo della conoscenza. Apparentemente i documenti sembrano molto sensati, leggendo tra le righe, si capisce la vera trama di questi accordi di cui
esiste una parte occulta.
Si tratta di riforme, che si inseriscono in
un’ottica neoliberista, dove si
identifica la formazione, l’istruzione e la cultura non più come un diritto di
cittadini e cittadine e un servizio erogato dallo stato o da pubbliche
amministrazioni, che è la base del nostro
concetto costituzionale di scuola pubblica e gratuita, ma come una merce, con
un alto valore e soggetta alle leggi di mercato, che ha come corollario la ridefinizione
dei soggetti che lavorano o che usufruiscono del sistema.
Termini come social accountability, assessment, audit society, value for money
diventano il vocabolario comune di questo approccio basato sul documento
OCSE “The knowledge based economy” ed
in generale sul sistema educativo di tipo angloamericano.
Essenzialmente gli strumenti tecnici cardine di questo percorso sono i test, sui quali si
basa la valutazione dell’apprendimento degli studenti, dalla quale deriva la
valutazione del lavoro e la capacità dei docenti e quindi la loro retribuzione,
con il non secondario aspetto dei dirigenti scolastici trasformati in managers
e l’istituzione scolastica in unità produttiva.
In Inghilterra e Stati Uniti, dove sono in
vigore da anni, queste politiche di “assessment”, hanno creato un mercato
concorrenziale tra scuole, la proliferazione di agenzie di valutazione estranee
al mondo scolastico, pubbliche o private, la perdita di prestigio, di
iscrizioni ed il degrado fino alla soppressione di scuole periferiche,
frequentate da settori della popolazione economicamente e culturalmente più
deboli e disagiati, con l’alimentazione di un circolo vizioso, visto che i
finanziamenti sono erogati sulla base della performance, compresi i salari dei docenti.
Altro
effetto è un impoverimento dei contenuti dell’insegnamento, omologandoli in
una scelta di metodologie standardizzate, finalizzate al superamento dei test,
uno svilimento del ruolo e della libertà dei docenti.
Si assistiamo alla divaricazione sempre più
accentuata tra scuole elitarie, con grandi possibilità economiche,
possibilmente private, quindi fonti di guadagno, che hanno lo scopo di formare
la classe dirigente politica o l’elite tecnica perfettamente funzionale al
progetto di società che sta avanzando e la
scuola pubblica sempre più povera, degradata, spogliata di ogni valenza
di costruzione di un pensiero critico e di una cultura generale, per la
formazione della forza lavoro salariata attraverso una cultura utilitaristica,
parcellizzata, totalmente sottomessa all’organizzazione del lavoro, al
dispiegamento del potere ed alla valorizzazione
del capitale.
In questa ottica di distruzione della
scuola, rientra la politica dei tagli delle borse di studio, sorta di
ripartizione della ricchezza, in
generale la scelta di far ricadere sui singoli i costi ed i rischi della loro formazione, in una folle competizione, come è ben rappresentato dai
vari percorsi dei nostri precari attraverso agenzie formative pubbliche o private
che nascono come funghi.
Ognuno diventa “imprenditore di sé stesso”, in un mercato
della qualificazione e della vendita della forza lavoro, tecnicamente e
politicamente costruito e comandato.
Per quelli che saranno espulsi o lasciati ai
margini, sulla base del modello tedesco, ci sono le scuole professionali tanto
caldeggiate dalla UE, con percorsi di
apprendistato e scuola/lavoro, il” just in time” della produzione di merci
applicato alle risorse umane.
C’è anche un aspetto ideologico, politico di
questa scelta: non si persegue solo l’obiettivo di piegare il sistema formativo
verso un’ottica mercantile, ma di piegare anche gli individui, di formare dei
perfetti consumatori e forza lavoro docile e flessibile.
Gli apparati di controllo della formazione
sono gli stessi applicati nella produzione di merci e servizi. La reperibilità,
la classificazione, la formattazione degli individui sono strumenti
indispensabili al funzionamento del controllo sociale.
Sotto la copertura della modernizzazione e
dell’efficacia, l’educazione nazionale dà il suo contributo alla costruzione
della società securitaria, soprattutto se si pensa alla giovane età dei
soggetti plasmati da un sistema educativo cosi omologante.
Ora è chiaro a tutti che la causa della
nostra infelicità sono le politiche di austerità imposte dalle banche, dal
sistema finanziario e dalla “troika”, che hanno infierito sui sistemi educativi
in tutto il mondo.
Il contrasto a tali progetti ah visto
svilupparsi percorsi di lotte nei paesi europei e non con in testa la Grecia e
il Messico, ma Spagna e Bosnia, in altri
continenti Uruguay, Brasile, che hanno molto da insegnarci, soprattutto sulla
capacità dei movimenti di ricondurre e unificare le lotte.
La nostra speranza
di vittoria e di contrasto efficace a queste tendenze e progetti, come
oppositori alla miseria del presente e a quello del prossimo futuro, sta nel riconoscerci e unirci alle lotte degli
altri, dobbiamo allargare il nostro orizzonte ed estendere le iniziative locali
coordinandole con quelle a livello europeo e internazionale. Anche per questo,
si è formata la Rete europea del
sindacalismo di base e alternativo,
che in Italia è rappresentata da USI, Cub e Unicobas, Rete che ha al suo
interno un nucleo di coordinamento sulle questioni scolastiche ed educative
(che ha tenuto il 21 settembre 2013 a Roma un suo primo incontro di confronto),
ma anche quella di solidarietà e lotta a livello globale, sulla spinta di
strutture e lavoratori e lavoratrici della scuola del sud America…
L’USI informa anche tutti i
cittadini/lavoratori della battaglia che sta conducendo contro il decreto
SALVA(AMMAZZA)/ROMA ed il piano di
rientro proposto dalla Giunta direttamente al Governo (che prevede tagli ai
servizi e alle aziende partecipate e comunali) che vedrà presenti le sue
strutture in occasione delle sedute per il Bilancio per opporsi ad ogni taglio
e licenziamento e che MERCOLEDI’ 16
LUGLIO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI, insieme ad eletti nel gruppo misto, ha organizzato una Conferenza stampa dalle
13 alle 14.
PROBLEMA
"CAPITALE", QUESTIONE NAZIONALE
La legge (DL 06/03/2014, n. 16,
convertito in L. 02/05/2014, n. 68), obbligatutti gli EE.LL. italiani
con difficoltà finanziarie a:
- approvare un piano triennale 2014-16 di rientro dal debito;
- sciogliere e/o cedere le partecipazioni in società che
producano beni e servizi non strettamente necessari per le finalità
istituzionali dell'ente, comprensivo di licenziamenti di dipendenti (per i
quali si prevedono "aiuti all'impiego");
- recupero dei soldi dati ai dipendenti (vedi: salario
accessorio) "in violazione dei vincoli finanziari alla
contrattazione integrativa" (cfr. Relazione ispettiva del MEF e
proposte di modifiche peggiorative dei contratti decentrati);
- privatizzare il più possibile i servizi pubblici.
Roma è la
capitale, ovvero la città nella quale queste linee-guida devono essere
applicate in maniera "esemplare" - questa pare essere la precisa volontà
del Governo Renzi - e il Sindaco Marino ha messo a punto un piano molto
impegnativo con il quale intende ridurre di 445 mln le spese correnti: il piano
taglia opportunamente, finalmente, antichi sprechi e spese improprie o
sbagliate; ma, purtroppo, anche settori e servizi pubblici gestiti direttamente
o attraverso le sue società partecipate. Le cessioni e le fusioni, i tagli ai
finanziamenti di queste ultime, quindi, mettono a rischio anche molti posti di
lavoro, o quanto meno prevedono riduzioni orarie e salariali e corrispondenti
riduzioni dei servizi forniti ai cittadini (ad esempio, le riduzioni delle
corse degli autobus, già iniziate; oppure, le riduzioni dei finanziamenti a
scuole e asili nido pubblici, a favore di quelli privati convenzionati). E
infine, attraverso il progetto di modifica del contratto aziendale (il c.d.
"integrativo decentrato") che sta discutendo con i sindacati, anche
il salario accessorio dei dipendenti capitolini, compreso tra il 20% e il 30%
dello stipendio netto, verrà decurtato notevolmente.
Parlando di quello che sta
succedendo a Roma, dunque, parliamo di un progetto preciso del Governo, che
riguarda tutti gli Enti Locali italiani.
Fotinprop.LargoVeratti25.Roma.Luglio2014
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